VITAMINA D – OBESITÀ E CHIRURGIA BARIATRICA

L’obesità è un problema di salute di importante rilevanza a livello mondiale: nel 2016 il 39% della popolazione adulta era in sovrappeso (BMI> o uguale a 25) e il 13% era obeso (BMI> o uguale a 30). Si è scientificamente stabilito che la regolazione della massa corporea prevede una forte componente genetica  (40-80% di ereditarietà) ed è riconosciuta come uno dei principali fattori di rischio per numerose malattie croniche in seguito citate.

Molto spesso un cambiamento radicale della dieta e/o un aumento dell’attività fisica hanno dei risultati nulli o comunque non soddisfacenti su pazienti affetti da obesità grave.

In tutti questi casi la chirurgia bariatrica è stata proposta come terapia alternativa alle sopracitate strategie producendo degli ottimi risultati  in termini sia di perdita di peso con conseguente ovvia diminuzione dell’indice di massa corporea (BMI), che di miglioramento dei numerosi  quadri patologici associati all’obesità stessa come il diabete di tipo II (questo spesso avviene ancor prima che inizi la perdita di peso), l’insulino resistenza,  le malattie cardiovascolari, il cancro, la depressione e una riduzione del colesterolo totale e del colesterolo LDL (il colesterolo “cattivo”) con un associato aumento del colesterolo HDL (il colesterolo “buono”)

L’aumento di peso associato all’obesità è associato anche a cambiamenti del profilo epigenetico dell’individuo. Questo perché i disturbi metabolici correlati all’obesità sono prodotti a seguito di un’interazione tra fattori ambientali, stile di vita e fattori genetici e l’epigenetica media l’effetto ambientale sulla funzione cellulare dell’organismo.

Ma cosa si intende con epigenetica?…Questo termine indica appunto come ambiente e stile di vita vanno a influenzare il DNA ricevuto alla nascita. La sequenza del DNA, il materiale genetico che si trova in ogni nucleo di ogni cellula del nostro corpo, non viene naturalmente alterata (in questo caso parleremmo di manipolazione o modificazione genetica) ma l’espressione dei vari geni che compongono il DNA stesso e che sono deputati alla formazione delle proteine che regolano ogni aspetto del funzionamento del nostro corpo, può essere modulata da fattori “esterni” come la dieta, il movimento, l’essere amati o malvoluti, vivere in un ambiente inquinato, avere una malattia cronica ecc.

Tra i geni che possono subire l’influenza epigenetica  dei fattori di cui si è appena scritto vi sono anche i geni che regolano l’obesità, primo fra tutti il gene FTO, riconosciuto come il gene che ha la maggior influenza sull’indice di massa corporea di tutti i geni conosciuti. . Inizialmente si pensava esistesse una relazione tra FTO e i circuiti cerebrali coinvolti nel controllo dell’appetito e nella propensione a  svolgere attività fisica. Si è invece in seguito accertato che questo gene agisce sulle cellule progenitrici degli adipociti in modo indipendente dal cervello. Le mutazioni a carico del gene FTO influenzano infatti il livello di espressione del gene IRX3, riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale come il “controllore” della % di grasso corporeo. Questo gene agisce come “interruttore generale della termogenesi, ovvero di quel processo che permette agli adipociti di bruciare le loro riserve di grasso per produrre calore, disperdendo così l’energia del grasso anziché immagazzinarla.

LA VITAMINA D

La vitamina D è liposolubile, viene accumulata nel fegato, e la si trova in due forme: vitamina D2 (ergocalciferolo) sintetizzata dalle piante e vitamina D3 (colecalciferolo) sintetizzata per il 90% dalla nostra pelle quando esposta ai raggi ultravioletti B della luce del sole.

I cibi che più la contengono sono il pesce “grasso” (sardine, aringhe, tonno, trote, salmone e sgombro), crostacei, molluschi, uova, le verdure a foglia verde e l’olio di fegato di merluzzo mentre latte e latticini, a meno che non siano “fortificati” non ne contengono grandi quantità. Il suo dosaggio nel corpo può essere testata solo attraverso uno specifico esame del sangue ma dei segnali che potrebbero essere indicatori di una carenza sono la pelle scura, uno stato depressivo, età superiore ai 50 anni, sovrappeso, obesità, dolori alle ossa, testa sudata, morbo di Crohn, celiachia o malattie infiammatorie dell’intestino.

Il ruolo di questa vitamina è molto importante perché riduce l’incidenza di diversi tipi di neoplasie (tumore al seno, colon, prostata), rafforza il sistema immunitario riducendo l’incidenza di infezioni come il raffreddore e l’influenza, aiuta a prevenire le malattie autoimmuni, riduce il rischio di ipertensione, cardiopatia arteriosclerotica, infarto, ictus, favorisce la riparazione del DNA e riduce l’invecchiamento agendo come antiossidante.

Si parla di carenza di vitamina D per concentrazioni ematiche di 25-idrossicolecalciferolo (25(OH)D) inferiori a 20 ng./ml. e di insufficienza per valori compresi  tra 21 e 29.

Se è bassa la concentrazione ematica di vitamina D si ha di conseguenza una inibizione dell’assorbimento del calcio e del fosforo a livello intestinale mentre aumentano i livelli del paratormone (PTH) che favorisce il riassorbimento del calcio della matrice ossea promuovendo l’attività degli osteoclasti. Per mantenere quindi la corretta concentrazione ematica del calcio (calcemia) si riduce la densità delle ossa (BMD) con possibile insorgenza di osteopenia e/o osteoporosi.

La carenza di vitamina D viene quindi  il più delle volte associata alla salute delle ossa ma si tratta in realtà anche del deficit più spesso riscontrato nei grandi obesi candidati alla chirurgia bariatrica in quanto, essendo una vitamina liposolubile, le persone con abbondante massa grassa tendono a sequestrarla nel loro tessuto adiposo rendendola indisponibile per le sue molteplici funzioni, hanno un’alterata capacità di sintesi della stessa, un ridotto assorbimento intestinale e tendono a tenere gran parte del loro corpo coperto da indumenti esponendosi poco al sole.

Studi scientifici hanno quindi dimostrato che un trattamento integrativo di vitamina D permette di ottenere un abbassamento dell’indice di massa corporea (BMI) e un miglioramento degli indici di grasso corporeo e di colesterolo dopo circa 12 mesi di trattamento con un conseguente miglioramento del quadro clinico delle patologie più spesso associate all’obesità (ipertensione, diabete, insulino resistenza, steatosi epatica, sindrome metabolica).

Riportare la vitamina D a livelli ottimali promuove quindi la perdita di peso, potenzia gli effetti di una dieta ipocalorica e migliora il profilo metabolico.

Sembra poi che l’ipovitaminosi D si associ a bassi livelli di leptina, ormone che induce sazietà prodotto dalle cellule adipose quando sono sature di grassi. La deplezione di leptina associata a carenza di vitamina D può quindi contribuire ad aumentare la fame e, viceversa, con la supplementazione di vitamina D si è visto che si alzano anche i livelli di leptina con conseguente riduzione del senso della fame.

Dopo un intervento di chirurgia bariatrica (sleeve gastrectomy o bendaggio gastrico)  e, in particolare, dopo una diversione bilio pancreatica che induce chirurgicamente una situazione di malassorbimento, è quindi importante procedere con il dosaggio della vitamina D per prevenire eventuali situazioni di carenza della stessa  tramite l’assunzione di specifici integratori multivitaminici per 6-12 mesi che prevengano il riassorbimento osseo e una condizione di ipovitaminosi generalizzata.